econdo la
leggenda del West consegnataci da film, libri e fumetti, l’amore
presso gli indiani o, come accadeva talvolta alla
frontiera, fra un bianco e un indiana segue le stesse regole della
società contemporanea. Il ragazzo
incontra la ragazza nella prateria invece che su una spiaggia, le
parla liberamente, poi vanno a passeggio lungo un fiume piuttosto
che in un moderno centro dedicato allo svago, si innamorano senza
pensare a differenza socio culturali e se gli anziani si oppongono
significa solo che non capiscono niente.
Chiaramente si
tratta solo della leggenda, ben diversa da quel
che accadeva al tempo dei pionieri dell’800 e quanto mai lontani
dalla realtà quotidiana dei popoli indiani.
Tuttavia, gli
usi indiani non ci sembra fossero poi tanto lontani, nella sostanza,
da quelli della nostra tradizione o almeno della tradizione di
alcune regioni italiane.
Anzitutto ci
preme rendere onore ad un fatto che viene troppo spesso trascurato,
ossia l’enorme differenza di usi e costumi che vi era tra popoli
indiani stanziati a migliaia di chilometri di distanza l’uno
dall’altro. I popoli delle pianure, ad esempio, quanto al matrimonio
avevano una loro specifica ritualità, talvolta diversissima da
quella che accomunava i gruppi della costa atlantica o pacifica o
del meridione o dell’estremo nord degli attuali Stati Uniti.
In questo
nostro lavoro, dunque, cerchiamo di mantenere i piedi saldi in
quello spazio concettuale che accomunava una gran parte dei Nativi
Americani, ben avendo in mente quante variabili vi fossero (e vi
siano tutt’oggi).
La maggiore e
più evidente differenza era costituito dalla “compra” della sposa:
bisognava offrire al padre una quantità cospicua di beni
(soprattutto cavalli, ma anche armi, pellicce, utensili da lavoro)
che il padre poteva accettare oppure respingere. Questo fatto può
essere facilmente interpretato come un concreto e profondo
svilimento della donna e del suo ruolo nelle comunità indiane, dal
momento che tutto farebbe pensare che venisse trattata alla stregua
di un qualunque oggetto che si acquista. Si tratta, però, di una
interpretazione abbastanza distante dalla complessa realtà sociale
di gran parte dei raggruppamenti indiani. La proposta di beni
materiali alla famiglia della futura sposa altro non era che una
forma di indennizzo che il candidato marito doveva corrispondere per
ripianare la perdita di un congiunto capace di sostenere la famiglia
stessa con il proprio lavoro.
In tal senso,
una ragazza era orgogliosa di un’eventuale offerta cospicua poiché
si trattava del riconoscimento, anche sociale, del proprio valore e
se questa fosse stata troppo bassa, o addirittura nulla, la sposa
si sarebbe sentita profondamente umiliata.
Nella nostra
tradizione si parla o si parlava della dote e del corredo, da
considerarsi un contributo al mantenimento della nuova famiglia.
Anche una sposa
bianca sarebbe stata umiliata se non avesse avuto corredo e dote.
D’altra parte
la “ compra” della sposa era più che altro una cerimonia. Ad essa
doveva necessariamente affiancarsi il favore della giovane per il
futuro sposo. L’ultima parola spettava certamente a lei. Prima di
presentarsi al padre il pretendente aveva gia avuto il consenso più
o meno esplicito della ragazza. E’ vero che era complicato per un
ragazzo parlare con una ragazza, ma c’erano sempre tanti sotterfugi
ai quali si poteva ricorrere e che gli anziani non vedevano o,
meglio, fingevano di non vedere.
Il padre poi,
per parte sua, non “vendeva” la figlia al miglior offerente o al
primo che si presentava con qualche dono, ma giudicava personalità e
valore del giovane pretendente, più o meno come facevano i genitori
nel contesto dei “bianchi”.
Se poi il padre
era proprio contrario al matrimonio, si poteva ricorrere al
rapimento della ragazza, naturalmente con il consenso tacito della
stessa per mettere i genitori davanti al fatto compiuto. La classica
fuga di amore in voga anche fra gli europei!
Alla sposa
veniva richiesta la verginità, ma non era questo un gran problema
perché le ragazze si sposavano davvero molto presto e quella
condizione era la norma.
Non ci facciamo
però una idea chiara della situazione se non teniamo presente la
generale precarietà delle condizioni di vita primitive.
Oggigiorno chi
si sposa ha fondate aspettative (separazioni a parte…) di poter
festeggiare le “nozze di argento” e anche “le nozze d’oro”. Ci si
sposa fra i 25 e i 30 anni (quando non oltre), si vive fino a circa
80 e quindi vi sono più di 50 anni di vita matrimoniale.
In un ambiente
di vita difficile come quello indiano, però, gli stenti, le
malattie, la fame, le guerre incessanti, i parti continui e mille
altre difficoltà falciavano la popolazione. Poteva anche avvenir
per caso che qualcuno riuscisse a diventare vecchio ma era molto
difficile che una coppia lo potesse diventare insieme. In realtà la
morte scioglieva presto i matrimoni e quasi tutti diventavano presto
vedovi.
Se il primo
matrimonio seguiva il complesso cerimoniale indicato, in seguito
vedovi e vedove si risposavano come meglio potevano, secondo
necessità e circostanze, ma anche per gli indiani il primo amore non
si scordava mai ed essi lo rievocavano con piacere