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A cura di Giovanni De Sio Cesari

Il matrimonio indiano

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econdo la leggenda del West consegnataci da film, libri e fumetti, l’amore presso gli indiani o, come accadeva talvolta alla frontiera, fra un bianco e un indiana segue le stesse regole della società  contemporanea. Il ragazzo incontra la ragazza nella prateria invece che su una spiaggia, le parla  liberamente, poi vanno a passeggio lungo un fiume piuttosto che in un moderno centro dedicato allo svago, si innamorano senza pensare a differenza socio culturali e se gli anziani si oppongono significa solo che non capiscono niente.

Chiaramente si tratta solo della leggenda, ben diversa da quel che accadeva al tempo dei pionieri dell’800 e quanto mai  lontani dalla realtà quotidiana dei popoli indiani.

Tuttavia, gli usi indiani non ci sembra fossero poi tanto lontani, nella sostanza, da quelli della nostra tradizione o almeno della tradizione di alcune regioni italiane.

Anzitutto ci preme rendere onore ad un fatto che viene troppo spesso trascurato, ossia l’enorme differenza di usi e costumi che vi era tra popoli indiani stanziati a migliaia di chilometri di distanza l’uno dall’altro. I popoli delle pianure, ad esempio, quanto al matrimonio avevano una loro specifica ritualità, talvolta diversissima da quella che accomunava i gruppi della costa atlantica o pacifica o del meridione o dell’estremo nord degli attuali Stati Uniti.

In questo nostro lavoro, dunque, cerchiamo di mantenere i piedi saldi in quello spazio concettuale che accomunava una gran parte dei Nativi Americani, ben avendo in mente quante variabili vi fossero (e vi siano tutt’oggi).

La maggiore e più evidente differenza era costituito dalla “compra” della sposa: bisognava offrire al padre una quantità cospicua di beni (soprattutto cavalli, ma anche armi, pellicce, utensili da lavoro) che il padre poteva accettare oppure respingere. Questo fatto può essere facilmente interpretato come un concreto e profondo svilimento della donna e del suo ruolo nelle comunità indiane, dal momento che tutto farebbe pensare che venisse trattata alla stregua di un qualunque oggetto che si acquista. Si tratta, però, di una interpretazione abbastanza distante dalla complessa realtà sociale di gran parte dei raggruppamenti indiani. La proposta di beni materiali alla famiglia della futura sposa altro non era che una forma di indennizzo che il candidato marito doveva corrispondere per ripianare la perdita di un congiunto capace di sostenere la famiglia stessa con il proprio lavoro.

In tal senso, una ragazza era orgogliosa di un’eventuale offerta cospicua poiché si trattava del riconoscimento, anche sociale, del proprio valore e se questa fosse stata troppo bassa, o addirittura nulla, la  sposa si sarebbe sentita profondamente umiliata.

Nella nostra tradizione si parla o si parlava della dote e del corredo, da considerarsi un contributo al mantenimento della nuova famiglia.

Anche una sposa bianca sarebbe stata umiliata se non avesse avuto corredo e dote.

D’altra parte la “ compra” della sposa era più che altro una cerimonia. Ad essa doveva necessariamente affiancarsi il favore della giovane per il futuro sposo. L’ultima parola spettava certamente a lei. Prima di presentarsi al padre il pretendente aveva gia avuto il consenso più o meno esplicito della ragazza. E’ vero che era complicato per un ragazzo parlare con una ragazza, ma c’erano sempre tanti sotterfugi ai quali si poteva ricorrere e che gli anziani non vedevano o, meglio, fingevano di non vedere.

Il padre poi, per parte sua, non “vendeva” la figlia al miglior offerente o al primo che si presentava con qualche dono, ma giudicava personalità e valore del giovane pretendente,  più o meno come facevano i genitori nel contesto dei “bianchi”.

Se poi il padre era proprio contrario al matrimonio, si poteva ricorrere al rapimento della ragazza, naturalmente con il consenso tacito della stessa per mettere i genitori davanti al fatto compiuto. La classica fuga di amore in voga anche fra gli europei! 

Alla sposa veniva richiesta la verginità, ma non era questo un gran problema perché le ragazze si sposavano davvero molto presto e quella condizione era la norma.

Non ci facciamo però una idea chiara della situazione se non  teniamo presente la generale precarietà delle condizioni di vita primitive.

Oggigiorno chi si sposa ha fondate aspettative (separazioni a parte…) di poter festeggiare le “nozze di argento” e anche “le nozze d’oro”. Ci si sposa fra i 25 e i 30 anni (quando non oltre), si vive fino a circa 80 e quindi vi sono più di 50 anni di vita matrimoniale.

In un ambiente di vita difficile come quello indiano, però, gli stenti, le malattie, la fame, le guerre incessanti, i parti continui e mille altre difficoltà  falciavano la popolazione. Poteva anche avvenir per caso che qualcuno riuscisse a diventare vecchio ma era molto difficile che una coppia lo potesse diventare insieme. In realtà  la morte scioglieva presto i matrimoni e quasi tutti diventavano presto vedovi.

Se il primo matrimonio seguiva il complesso cerimoniale indicato, in seguito vedovi e vedove si risposavano come meglio potevano, secondo necessità e circostanze, ma anche per gli indiani il primo amore non si scordava mai ed essi lo rievocavano con piacere

 

Offerte. La maggiore e più evidente differenza era costituito dalla “compra” della sposa: bisognava offrire al padre una quantità cospicua di beni (soprattutto cavalli, ma anche armi, pellicce, utensili da lavoro) che il padre poteva accettare oppure respingere.

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Sotto: Alcune fotografie di giovani donne indiane

 

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