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A cura di Sergio Bonelli Editore (Magico Vento)

La guerra del carbone

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a ricerca dei metalli nella regione del Nevada (piombo, ferro, antimonio e argento) cominciò nel 1860, e la prima fornace per fusioni nacque sei anni dopo, a opera di Moses Wilson. Nel 1872, il distretto vantava ormai 1500 miniere e una popolazione di più di 4000 individui, molti dei quali italiani, svizzeri e cinesi, tutti impegnati nella produzione del carbone necessario alle fabbriche. Entro il 1874 le fornaci in città diventarono una dozzina.

La cittadina di Eureka rischiò più volte di finire distrutta dalle fiamme a causa della cenere incandescente che volava sui tetti. 

L'aria, densa di fumo e di fuliggine, era irrespirabile. Il carbone non bastava mai. I fonditori di piombo e argento ne richiedevano da 200 a 250 chili per raffinare una tonnellata di metallo. L'impatto sul patrimonio boschivo del territorio fu devastante. Entro il 1878 per cinquanta miglia attorno a Eureka non restò più un solo albero. 

Al principio, la legna veniva gettata in larghi pozzi scavati nel terreno e poi incendiata e coperta di terra. 

Ogni volta che un pozzo doveva essere riempito, scomparivano cento alberi. Intorno al 1870, i lavoratori italiani costruirono dei forni ad arnia che permettevano di consumare meno legna e produrre carbone di qualità migliore e in maggiore quantità. 

Ciascun forno, costruito in pietra, aveva un diametro interno dai sei ai nove metri ed era altrettanto alto. Il legno veniva infilato da un'apertura in alto ed estratto dal basso dopo dodici giorni.

Entrambe le aperture avevano sportelli d'acciaio, e piccole fessure nelle pareti garantivano la ventilazione necessaria al fuoco. 

Naturalmente i lavoratori chiedevano che il carbone così ricavato venisse pagato meglio, ma i proprietari delle fabbriche e delle miniere pretendevano invece di mantenere bassi i prezzi. I carbonai erano costretti a condizioni di vita intollerabili: dovevano abitare in rifugi di fortuna scavati nel terreno, in prossimità dei forni, in pessime condizioni igienico-sanitarie.
Guadagnavano circa quattro dollari a settimana (cioè meno della metà della paga di un minatore), ed essendo stranieri, venivano considerati come degli invasori. 

Persino gli operai della città non li vedevano di buon occhio, imputando a loro la disoccupazione e i salari bassi. 

Contro gli italiani, e i cinesi, si formarono diverse associazioni razziste, quasi sempre al soldo dei proprietari delle industrie, che non esitavano a impugnare le armi e a compiere scorrerie. 

Gli italiani si organizzarono in una società di difesa chiamata, non a caso, I Carbonari. 

Il giornale locale, l'Eureka Sentinel si schierò coraggiosamente con loro. I conflitti sociali raggiunsero l'apice alla fine degli anni 70. 

Attorno alla definizione del prezzo del carbone si combatterono vere e proprie guerre, che videro sanguinosi scontri armati tra migliaia di persone. 

Sulle colline, intanto, non erano rimasti nemmeno più i cespugli.

 

Aria densa. La cittadina di Eureka rischiò più volte di finire distrutta dalle fiamme a causa della cenere incandescente che volava sui tetti. L'aria, densa di fumo e di fuliggine, era irrespirabile. Il carbone non bastava mai.

 

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