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A cura di Sergio Bonelli Editore (Magico Vento)

La caccia

L'

atteggiamento interiore "dell'indiano nei confronti dell'animale è del tutto diverso da quello europeo. Egli considera l'animale un essere superiore".

Questo scrive l'etnologo Aby Warburg nel suo studio "Il rituale del Serpente". 

Per spiegarsi meglio, Warburg cita le parole di un anonimo indiano: "Guarda l'antilope, che è velocità pura, oppure l'orso, che è tutto forza. Gli uomini sanno solo fare in parte ciò che l'animale è interamente". Insomma: gli animali concentrano nel loro essere una virtù specifica, noi uomini invece siamo così deboli che dobbiamo prendere di qua e di là le nostre qualità, cercando di accumularne a sufficienza per riuscire a sopravvivere. 

Questo spiega l'abissale differenza che c'è tra un cacciatore indiano e un cacciatore bianco. 

Gli indiani vivevano in un mondo dove gli animali erano estremamente più numerosi di loro e meglio attrezzati alla sopravvivenza, e dovevano anzitutto cercare di imitarli, di imparare da loro. Uscendo a caccia, rispettavano regole scrupolosissime: non dovevano uccidere capi troppo giovani, né in numero eccessivo rispetto ai bisogni della tribù, e poi, persino dopo la pesca, dovevano ringraziare gli spiriti degli animali sacrificati per il proprio nutrimento. Non c'era negli indiani nessuna idea di dominio sulla natura e nessuna presunzione di superiorità rispetto al mondo animale. Ecco perché le stragi compiute dai bianchi, che andavano a caccia di bisonti o di cervi per puro sport, li sgomentavano. Non riuscivano a capire il senso di tanta distruzione, non potevano ammettere questa mancanza di rispetto per la vita.

Sentite le parole di un Wintu della California: "I bianchi si burlano della terra, del daino o dell'orso. Quando noi cacciamo la selvaggina, ne mangiamo tutta la carne. Quando raccogliamo radici commestibili, noi facciamo solo piccoli solchi. Noi ci procuriamo le ghiande scuotendo gli alberi. Facciamo uso solo di rami secchi. L'uomo bianco, invece, rimuove la terra, abbatte gli alberi, distrugge ogni cosa". 

La caccia era per gli indiani anche un'esperienza sacra. Un cacciatore Zuni spargeva una mistura di frammenti di conchiglie, farina e polline sulle orme di un cervo, e cantava: "Padri miei, madre mia (intendendo con questo gli animali, parenti e genitori dell'uomo) in qualche piccola conca, tra qualche basso cespuglio, vi rivelerete a me. Poi, che io possa saziarmi con la vostra carne, con la vostra acqua viva". 

Il cacciatore indiano, inoltre, era sempre attentissimo a non alterare l'equilibrio naturale. Sempre tra gli Zuni e gli Hopi, nel mese di dicembre (detto della "Luna Pericolosa") la caccia era sospesa: "I conigli piangono quando gli si da la caccia; durante questa luna non dev'essere nessuna caccia". Il motivo è che in quel periodo, gli animali si riproducono, dunque "nessun animale, nemmeno i conigli, dev'essere estratto a forza dalle tane durante questa intera luna", (citazioni tratte da L'Alce Sacro di Hamilton A. Tyler).

 

In natura. Gli indiani vivevano in un mondo dove gli animali erano estremamente più numerosi di loro e meglio attrezzati alla sopravvivenza, e dovevano anzitutto cercare di imitarli, di imparare da loro.

 

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