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A cura di Domenico Rizzi

L'inferno di Colter

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a presunta disavventura accadutagli poco tempo dopo con i Pellirosse,  rappresenta un altro degli episodi discussi della sua biografia e contribuì, insieme alla suggestiva descrizione dei geyser, a creargli una fama di bugiardo.

Nel 1807, mentre esplorava il fiume Shoshone, accompagnato da un paio di Crow, John aveva già avuto a che fare con i Piedi Neri. Nonostante fosse stato piantato in asso dalle guide indiane, John se l’era cavata egregiamente, sfuggendo agli spietati avversari grazie alla propria abilità e scaltrezza. 

Nell’autunno del 1808, Colter e il compagno John Potts lasciarono Fort Raymond (o Remon) alla confluenza del Bighorn con lo Yellowstone e si addentrarono nel territorio dei Piedi Neri, nell’area delle Three Forks (i fiumi Jefferson, Madison e Gallatin) del fiume Missouri.

Benchè le valutazioni del generale St. George Cook riguardo a questa nazione di stirpe algonchina fossero esagerate, secondo Alexander Henry (1809) essa comprendeva comunque 5.200 individui, suddivisi fra Siksika, Piegan e Kainah (Blood) e la sua forza di guerra superava i 1.400 combattenti (John C. Ewers, “I Piedi Neri”, Milano, 1997, p. 41). Per due uomini soli, che andavano a piazzare trappole fra i boschi, il rischio di essere uccisi o catturati era dunque elevatissimo.

Mentre discendevano in canoa uno dei tre bracci del Missouri, i Piedi Neri comparvero su entrambe le rive, precludendo ai trapper la possibilità di accostare. John Potts, credendo forse di intimorirli con le armi da fuoco, imbracciò il fucile e sparò contro di essi, abbattendone uno, ma venne subito crivellato di frecce. Poi una dozzina di guerrieri entrarono nell’acqua e tirarono a riva la canoa di Colter. Uno di essi, evidentemente un capo di guerra, riconobbe il cacciatore per averlo visto combattere in passato a fianco dei Crow. “Quest’uomo è un prode guerriero” disse l’Indiano “Vedremo dunque se saprà morire coraggiosamente” (Merrill D. Beal, “The Story of Man in Yellowstone”, Caldwell, Ida., 1949, p. 54).

Colter era circondato da 600 Piedi Neri, uomini, donne e bambini, che lanciavano grida e insulti e le loro intenzioni apparivano assai poco rassicuranti. Il leader gli chiese se sapesse correre velocemente, ma il trapper rispose di no, sostenendo di essere lento come una lumaca. Colter aveva mentito temendo che gli Indiani potessero cambiare idea, scegliendo qualche altro tipo di tortura: infatti risero della sua risposta e gli spiegarono che avrebbe dovuto trasformarsi in una lepre, perché i migliori corridori della tribù si sarebbero posti alle sue calcagna, armati di lance, tomahawks e mazze da guerra.

John era consapevole che l’obiettivo degli Indiani fosse quello di divertirsi con lui il più a lungo possibile per poi catturarlo, torturarlo e ucciderlo. Gli avrebbero concesso un certo margine di vantaggio per poi inseguirlo fino a farlo scoppiare.

Per rendergli più difficile il compito, il capo ordinò che gli venissero tolti calzari e vestiti: alla fine Colter si ritrovò completamente nudo, esposto alla vista delle squaw che lo dileggiavano, incuriosite dalle fattezze di quel barbuto uomo bianco.

Il pianoro su cui avrebbe dovuto affidare la salvezza all’agilità delle proprie gambe, era accidentato, cosparso di rovi e cespugli spinosi e dopo circa 6 miglia digradava verso il fiume Madison. L’obiettivo del cacciatore, benchè proibitivo, doveva essere il raggiungimento del corso d’acqua a qualsiasi costo, per tentare di nascondersi fra le sue rive. Sebbene una fuga senza mocassini ai piedi su quel terreno aspro e pieno di aghi equivalesse ad un supplizio tremendo, la prospettiva di finire infilzato in una lancia poteva costituire uno stimolo sufficiente a fargli tentare l’impresa pazzesca da cui dipendevano i suoi giorni futuri.

Al segnale del capo, il mountain man partì di slancio, come se fosse stato scagliato da una catapulta. I guerrieri attesero pazientemente che si fosse distanziato un po’, quindi si misero sulle sue tracce, lanciando urla raggelanti.

John Colter aveva iniziato la sua maratona per la vita.

L’inseguimento si protrasse per un quarto d’ora, prima che la maggior parte degli Indiani cominciasse rimanesse indietro rispetto ai corridori più celeri. Voltandosi ogni tanto, John notò che solo due o tre guerrieri si stavano realmente avvicinando a lui, ma in particolare un inseguitore, il campione della tribù, guadagnava terreno in modo preoccupante, mentre gli altri erano sempre più distanti. Allora concepì immediatamente un piano rischioso quanto necessario. Cominciò a rallentare intenzionalmente l’andatura, fino a lasciarsi  raggiungere dall’inseguitore più vicino e quando questi fu a pochi passi da lui, si girò di sorpresa, balzandogli addosso e gettandolo a terra. Prima che il Pellerossa, potesse riaversi dallo stupore, Colter fu lesto a strappargli la lancia di mano e con la sua punta gli trapassò il petto. Poi, facendo appello a tutte le sue energie residue, ripartì. Aveva i piedi feriti e sanguinanti, il cuore che pareva sul punto di scoppiare e il sangue che gli colava dal naso per lo sforzo sostenuto, ma continuò a spingere avanti le proprie gambe come un automa, finchè raggiunse lo scoscendimento che formava la sponda del fiume Madison.

Senza esitare un istante, spiccò un salto e si gettò nelle acque gelide, riemergendo e portandosi a nuoto verso le tane di alcuni castori. Non trovando altro riparo, fece una nuova immersione e si nascose sotto lo sbarramento di rami che formava la colonia dei roditori, rimanendo in quella posizione per un tempo imprecisato.

I Piedi Neri sostarono per diversi minuti lungo la riva, cercando di indovinare dove fosse finito il cacciatore e dopo avere formulato varie congetture, conclusero che la loro preda doveva essere miseramente annegata, per cui se ne tornarono al villaggio con le pive nel sacco.

Ma l’avventura di Colter non era ancora terminata.

Fort Raymond distava più di 300 miglia e per un uomo nudo e disarmato, senza provviste, sarebbe stato davvero difficilissimo ritornare incolume all’avamposto. Tuttavia, spinto dall’istinto di sopravvivenza, John si pose in cammino, avanzando guardingo fra boschi e colline, sempre attento al più piccolo rumore. Per una settimana intera il suo cibo fu costituito quasi unicamente di radici di acetosella e bacche selvatiche che aveva visto usare presso i Crow nei periodi di carestia. Quando, attraversato il passo chiamato più tardi Bozeman, scorse la palizzata del forte, comprese di avere compiuto un’impresa davvero unica.

Naturalmente, anche questa volta, molte persone stentarono a credere al suo racconto, ma Colter non vi fece caso. Aveva sfidato la morte uscendone vincitore e questo era ciò che gli importava veramente.

 

Frontiera. Il 14 maggio 1804, il ventottenne Colter si unì a Lewis e Clark ufficiali e ai loro 39 compagni in partenza dalla cittadina di Saint Louis, a bordo di un barcone di 16 metri e di due piroghe a remi e a vela.  

 

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