Orso in Piedi e i Ponca
li Stati Uniti avevano
deciso anche per loro. Nella primavera del 1877, i Ponca, popolo
pacifico che viveva lungo le rive del fiume Niobrara, doveva
spostarsi nel Territorio Indiano, dove erano già state ammassate
alcune grandi tribù come quella dei Cheyenne e degli Arapaho.
Per i Ponca era strana
questa decisione, avevano vissuto in pace con i coloni bianchi che
erano andati a vivere nei loro territori, secondo un trattato del
1858 col quale i Ponca rinunciavano ad una parte delle loro terre
per avere l’assicurazione di vivere per sempre nella loro terra
natale.
Ma non è stato così.
Nel 1868 le terre dei
Ponca sono state inserite erroneamente tra le terre da destinare ai
Sioux, e quest’ultimi andavano dai Ponca con richieste di pagamento
in cavalli e con l’intento di scacciare gli invasori dalla loro
terra. I Ponca avevano protestato a Washington con gli Ispettori del
Dipartimento Indiano ma invano.
Alla fine il Governo si ricordò
di quella promessa fatta ai Ponca dieci anni prima con quel trattato
e si limitò non a risolvere quest’errore dell’assegnazione delle
terre, ma a dare un piccolo indennizzo per pagargli i danni subiti
dalle scorrerie nel loro territorio.
Già da molto prima
avevano messi gli occhi su quella terra e, nel 1876, dopo la
sconfitta di Custer al Little Big Horn (25 giugno) fu stilato un
nuovo trattato che annullava il trattato del 1868 sull’assegnazione
delle terre e prevedeva il confinamento delle tribù settentrionali
“ribelli”, tra le quali furono inseriti ingiustamente i Ponca, che
non parteciparono nemmeno alle ultime guerre indiane. Gli vennero
assegnati venticinquemila dollari per ricostruirsi una patria.
Ma non fu così facile
convincerli.
Una delegazione di
undici capi tra cui Orso in Piedi, Aquila Bianca, Grande Alce volle
vedere il nuovo territorio, e in compagnia dell’Ispettore per gli
Affari Indiani Edward C. Kemble andarono tutti in Oklahoma.
Chiaramente – considerando la tipologia del territorio che gli era
stato destinato – la scelta del “Padre Bianco” non fu gradita. Per
puro dispetto Kemble non riaccompagnò i capi nella loro riserva, e
gli fece fare una marcia di più 800 chilometri lungo gli Stati
Uniti. Ogni uomo possedeva solo una coperta e un paio di mocassini,
e, se non fosse stato per l’aiuto dato a loro dalle tribù amiche
degli Omaha e degli Oto, che li rifocillarono e li fecero riposare,
molti dei capi, ormai anziani, sarebbero morti per strada.
Quando finalmente
riuscirono a far ritorno a casa, ebbero la sorpresa, quaranta giorni
dopo, di rivedere Kemble che gli consegnò l’ordine di partire, ma i
capi protestarono violentemente chiedendo a Washington il rispetto
rigoroso di quella famosa promessa di mantenere il loro territorio,
stipulata nel 1858.
L’Indian Bureau fu
messo alle strette e il problema fu posto al Ministro degli Interni,
tale Shurz, che a sua volta lo girò al Generale Sherman che, come
suo solito, decise di ricorrere all’uso della forza e, come se
fossero stati bestie, sradicò i Ponca dalla loro terra natale
facendoli viaggiare in condizioni pietose attraverso cambi di clima
repentini. L’agente agli Affari Indiani E.A. Howard, che accompagnò
questa nuova versione della “Via delle Lacrime” scrisse un diario,
che fu l’unica testimonianza scritta di quel viaggio crudele.
Sappiamo che durante il viaggio morì la figlia di Orso in Piedi,
Fiore della Prateria. La giovane morì il 6 giugno a causa della
polmonite, presa il 26 maggio, e fu seppellita secondo il rito
cristiano nel cimitero di Milford, nel Nebraska. “Le signore di
Milford prepararono il corpo per la sepoltura nel modo più degno
della più alta civiltà” - scrisse con una nota di orgoglio Howard -
“Orso in Piedi fu spinto a dire a quelli intorno a lui e accanto
alla tomba della figlia che desiderava abbandonare i costumi indiani
per adottare quelli dei bianchi”.
Il 14 giugno i Ponca
raggiunsero la riserva degli Oto che, viste le condizioni pietose in
cui versavano e presi da uno spirito fraterno, donarono loro dieci
cavalli, viveri e coperte per continuare la marcia forzata.
Il 9 luglio, i pochi
sopravissuti, completamente fradici per la pioggia incessante,
arrivarono nella loro nuova, arida casa. Scrisse Howard subito dopo:
“Sono dell’avviso che lo spostamento dei Ponca dal clima
settentrionale del Dakota al clima meridionale del Territorio
Indiano si dimostrerà un errore e che si verificherà certamente
un’alta mortalità fra la gente dopo un po’ che si troverà qua e
quando inizierà a diffondersi la malaria che infesta questa zona”.
Mai previsione più catastrofica fu più veritiera. Infatti, successe
come ai Cheyenne settentrionali, ai Nez Perces e ad altri, che
vennero sradicati dalle loro regioni natali per essere impiantati in
un clima diverso: il diffondersi delle malattie legate al clima
comportò una forte mortalità, senza nemmeno l’aiuto di una
vaccinazione che sarebbe stata necessaria, almeno per la malaria.
Nel 1878 il Governo
gli assegnò un’altra riserva, nell’Arkansas dove c’era terra fertile
e, di conseguenza, la possibilità di migliori condizioni di vita.
Per raggiungere la
nuova “casa” i Ponca non ebbero aiuto da parte di nessuno e nessun
finanziamento per comprare gli approvvigionamenti per il viaggio.
Con le poche risorse di cui disponevano partirono per i 240 Km che
li separavano la loro nuova patria.
Arrivati in Arkansas
ci furono nuovi morti per la mancanza di medicine e di viveri, come
denunciò lo stesso Aquila Bianca, e morì anche il figlio di Orso in
Piedi - l’ultimo suo figlio - che chiese di essere seppellito nella
sua terra natale, sulle rive del Niobrara. I Ponca si industriarono
a costruire una bara di legno e Orso in Piedi puntò verso nord con
il suo clan - sessantasei persone in tutto - per esaudire la
richiesta del figlio.
Appena Shurz ebbe
notizia di questa iniziativa, comandò al Generale Crook, stanziato
ad Omaha in Nebraska, di fermarli e di confinarli a Fort Omaha.
Questi mandò subito un manipolo di soldati ad arrestarli,
confinandoli nella riserva degli Omaha.
Il generale Crook,
“Tre Stelle” come lo chiamavano i Nativi, combatté nella sua lunga
vita di soldato molte volte contro gli indiani. Combatté contro gli
Apache, i Cheyenne, ma adesso, ormai in età avanzata, aveva preso a
cuore la causa dei Nativi e si mostrò addolorato per ciò che era
successo in passato, per le incomprensioni tra la sua razza e il
popolo dei Nativi.
Crook andò a visitare
i Ponca nelle prigioni di Fort Omaha e vedendoli in quelle
condizioni così pietose, con molti uomini in fin di vita, si
commosse veramente.
Crook si fece spiegare
la situazione da Orso in Piedi che, pazientemente, gli raccontò
tutta la loro storia, dalla cacciata forzata, all’iniziale
convivenza e commercio con i bianchi, alle morti frequenti tra il
suo popolo a causa del clima e delle condizioni delle nuove riserve
non sempre idonee al loro stile di vita, alla morte dei suoi due
figli e al giuramento fatto al figlio maschio, alla fuga dalla
riserva in Arkansas per arrivare sulle rive del Niobrara.
Il vecchio Generale si
commosse molto per la storia, e decise di trattare per i Ponca,
aiutandoli.
“Tre Stelle” si diede
subito da fare andando a trovare il direttore di un giornale di
Omaha, Henry Tibbles, e assicurandosi l’appoggio determinante della
stampa.
Tibbles diffuse la
storia dei Ponca con una tale metodicità che tutta la Nazione ne
venne a conoscenza.
Mentre Crook ritardava
di proposito l’ordine di trasferimento alla riserva mandatogli da
Washington, qualcosa si mosse. Le chiese di Omaha inviarono un
messaggio a Shurz con la richiesta di ritirare l’ordine di
confinamento e di liberare i Ponca, ma lui non si degnò neanche di
rispondere.
In mezzo a questa
ondata di fervore umanitario due persone incominciarono ad agire -
due persone determinanti per questa storia - un giovane avvocato di
Omaha, John L. Webster, e il procuratore della Union Pacific
Railroad, Andrew Poppleton, i quali, gratuitamente, incominciarono
rapidamente a lavorare alla causa. A Crook, infatti, poteva arrivare
l’ordine di trasferimento per il Sud da un momento all’altro.
Ottennero come giudice
Elmer S. Dundy, un rude uomo di frontiera che aveva quattro
interessi nella vita: la buona letteratura, i cavalli, la caccia e
la giustizia.
Dundy in seguito emanò
un habeas corpus contro Crook per avere i Ponca in tribunale
a confronto con tutte le lamentele del procuratore che rappresentava
gli Stati Uniti.
Il 18 marzo 1879
incominciò il processo. Poppleton e Webster dissero che Orso
in Piedi era una persona e in quanto tale aveva diritto di muoversi
negli Stati Uniti liberamente, protetto da quei principi scritti
nella Costituzione e quando il procuratore ribatté che Orso in Piedi
ed i Ponca erano indiani e che dovevano rispettare le leggi che
regolavano i rapporti tra bianchi e indiani loro risposero che Orso
in Piedi, in quanto persona, aveva il diritto di spostarsi e di
staccarsi dal suo popolo quando lo desiderava, senza obblighi,
protetto dai diritti degli Stati Uniti come un qualsiasi altro
cittadino.
Poi fu data la parola a Orso in
Piedi che fece un discorso che entrò nella storia. Ecco alcuni
stralci:
“Quando
l'uomo bianco è arrivato nel mio Paese, ha scoperto che la mia tribù
era molto indipendente e potente e che tenevamo alla larga
qualsiasi altra tribù.
I nostri guerrieri erano coraggiosi,
primeggiavano nell'arte del combattimento ed erano temuti ed
ammirati da tutte le altre tribù. Gli uomini bianchi, vedendo
questo, cominciarono anch'essi a temerci e ci chiamarono Sioux per
questo motivo.
Nell'ultima parte della sua vita ha
cercato di essere un buon cittadino nel suo paese. Mi ha
incoraggiato ad andare a scuola
e a imparare il più possibile dalla
mia vita, così diversa da quella che aveva conosciuto lui.
Egli previde il grande
cambiamento che gli indiani avrebbero dovuto subire e dev'essere
stato doloroso per lui vedermi condurre in seguito una vita che era
l'opposto di quella che lui avrebbe voluto per me e che era
estranea alle nostre tradizioni.
Ma seppe sacrificare i suoi sentimenti per il bene della tribù.
Mio padre fu il primo a notare
la necessità di avere delle scuole nelle riserve. Inoltre, rese più
facile agli Indiani
ottenere gli approvvigionamenti governatici. Infatti , per un
certo periodo, dovevamo percorrere 50 o 60 miglia
per ricevere i rifornimenti e mio
padre ottenne che fossero stabilite delle stazioni di rifornimento
più vicine.
Un'abitudine che io ho sempre
ammirato in lui era quella di essere sempre pulito e in ordine.
Il nostro territorio, quello dei
Sioux occidentali, in seguito fu chiamato Nord e Sud Dakota. Era un
bel Paese…”
A conclusione del dibattimento
il giudice Dundy emise la sua sentenza: Orso in Piedi era un uomo
libero come tutti gli altri e poteva spostarsi quando e dove voleva,
senza limitazioni, per tutto il Paese, fruendo di tutti i diritti
sanciti dalla Costituzione degli Stati Uniti.
Appena sentite queste parole
Crook abbracciò Orso in Piedi facendogli i complimenti piangendo. Si
dice che subito dopo Crook morì di crepacuore contento.
Il procuratore
studiò la sentenza per far ricorso in appello, ma non trovando nulla
a cui appigliarsi alla sentenza del giudice Dundy - la quale
sentenza divenne un brillante saggio sui diritti umani – lasciò
perdere e Orso in Piedi poté rispettare la promessa fatta al figlio,
di seppellirlo lungo le rive del Niobrara, loro terra natale.
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