Soldato Blu
uando il regista Ralph Nelson (1916-1987) girò il celebre western
interpretato da Peter Strauss e Candice Bergen nel 1969-70, in
Vietnam era in corso una cruenta guerriglia fra l’esercito
statunitense e le forze di Ho Chi Minh, destinata a lasciare un
segno indelebile nella coscienza degli Americani.
IL SOGGETTO
L’occasione di creare accostamenti con gli episodi meno nobili
della storia nazionale era sembrata troppo ghiotta per non venire
sfruttata adeguatamente e “Soldato Blu” fu realizzato con questa
precisa finalità. In proposito, lo stesso Nelson dichiarò: “Ho
voluto mostrare queste atrocità perché intendevo sconvolgere la
gente, devastare le coscienze e ricordare che la follia sanguinaria
esiste ancora ai giorni nostri. E’ stato solo a riprese ultimate che
abbiamo avuto notizia di quanto era accaduto in Vietnam, al
villaggio di Song My!”. Nella località citata, gli uomini del
tenente Calley, poi deferito alla corte marziale, avevano infatti
sterminato nel 1969 decine di civili vietnamiti, considerati
collaborazionisti dei Vietcong.
Il parallelo fra gli eccessi della campagna indocinese degli Anni
Sessanta e la strage compiuta da Chivington un secolo prima,
costituì fin dall’inizio l’idea centrale del film, che, condannando
l’intervento militare americano a fianco delle truppe di Saigon,
voleva stigmatizzare anche la politica di sterminio attuata nei
confronti dei Pellirosse.
Alla sua prima apparizione sugli schermi, “Soldato Blu” si meritò
la definizione di western rivoluzionario e neo-realista, accrescendo
l’opposizione dell’uomo della strada verso la guerra nel Vietnam.
Lo scrittore Theodore V. Olsen, autore del romanzo “Arrow in the
Sun” (1969) da cui la pellicola è tratta, non mirava invece
all’esecrazione del perfido colonizzatore bianco, né tantomeno
evidenziava tentazioni apologetiche verso i nativi. Il suo
piacevolissimo racconto, ambientato nell’epoca immediatamente
successiva all’eccidio del Little Big Horn, si conclude anzi con un
lieto fine: il protagonista viene infatti acclamato come un eroe e
la squaw-bianca Cathy abbandona il fidanzato ufficiale per dedicarsi
anima e corpo al suo nuovo amore. Pertanto è lecito ipotizzare che,
senza la provocatoria versione cinematografica di Nelson, l’opera di
Olsen non sarebbe riuscita ad emergere facilmente dall’anonimato,
nell’oceano narrativo del western in cui imperavano firme “sacre”
come Warner Bellah, Lewis B. Patten, Alan Le May e Louis L’Amour.
Il libro, scritto con uno stile sobrio ed efficace, comprende
passaggi indimenticabili: la descrizione della colonna militare in
marcia, le elucubrazioni del soldato Menzies circa la permanenza
della ragazza fra gli Indiani, la viscerale insofferenza del
capitano Battles verso il presuntuoso tenente Spingarn. Olsen
inserisce nell’opera riferimenti storici precisi, spiegando in
maniera esauriente l’antefatto della vicenda.
Il dialogo fra i due ufficiali è una perfetta metafora
dell’ambiente militare americano dell’Ottocento, contrassegnato da
invidie e rivalità, che rivelano un esercito sostanzialmente
demotivato quanto impreparato ad affrontare gli Indiani. Il massacro
della scorta ripropone drammaticamente la catastrofe del Little Big
Horn, avvenuta appena un anno prima: il superstite Honus Gant rende
pateticamente il suo estremo saluto ai commilitoni massacrati
citando il poeta Tennyson, con il pensiero rivolto ai caduti di
Custer. Alla sfrontata Cathy, che insiste per riprendere subito il
cammino, l’affranto soldato risponde rabbiosamente: “Ma non ha
proprio nessun sentimento di decoro ?” La risposta della ragazza è
pragmaticamente sarcastica: “Qui, da queste parti…il decoro non
significa proprio niente. Tutto quel che conta è rimanere vivi.”
Il romanzo si snoda agilmente tra faticose avanzate nella
prateria assolata e quotidiani scambi di insulti fra i due
protagonisti, finchè l’avversione reciproca comincia a stemperarsi
per lasciare posto al sentimento opposto. Ma il film ha già assunto
un’altra connotazione, discostandosi sempre di più dal filo
narrativo di Olsen, per sfociare nell’aperta contestazione della
politica repressiva americana verso i Cheyenne.
Il soldato che nel libro supera finalmente i propri complessi,
prendendosi una grande rivincita personale, sullo schermo termina la
propria carriera in catene, criticando apertamente il sistema. Cathy
Lee lo segue fedelmente, offrendogli il suo pieno appoggio, convinta
come lui di avere combattuto per una causa sacrosanta.
I PERSONAGGI
Honus Gant, interpretato dall’attore Peter Strauss, occupa il
ruolo centrale della storia ed è il prototipo del soldato inesperto
e attaccato al dovere, sicuro di battersi per un ideale giusto,
almeno fino a quando una scatenata squaw dai capelli biondi non gli
fa cambiare opinione. Timido e introverso, infastidito dalle pesanti
fantasie erotiche di un petulante compagno d’armi, dinanzi alla
tragedia del suo plotone massacrato dai Cheyenne si scioglie in
lacrime come un bambino sperduto. Soltanto una sorte benevola e la
vicinanza dell’esperta Cathy lo salvano dal naufragio totale: riesce
perfino ad uccidere in duello un condottiero dei feroci Kiowa,
pugnalandolo casualmente mentre stava per soccombere alla sua
maggiore abilità. Quando spara ad un cervo per procurarsi del cibo,
fulmina involontariamente una lepre e la sua decisione di accamparsi
nel letto di un torrente in secca, per poco non finisce in tragedia
a causa di una improvvisa piena. Ma alla fine Honus è diventato
sicuro delle proprie decisioni e trova il coraggio di dare
dell’assassino al suo comandante, mentre la cavalleria sta facendo a
pezzi donne e bambini nel villaggio cheyenne. E’ l’incarnazione
dello studente americano del Sessantotto e della ribellione
generazionale alle spietate leggi dell’ imperialismo: paga fino in
fondo le conseguenze del suo gesto con la serenità di chi si è
liberato da un apparato opprimente. Kevin Costner seguirà la
medesima traccia vent’anni dopo, proponendo un nuovo approccio del
tenente John Dunbar con l’impenetrabile mondo dei Pellirosse (Balla
coi Lupi, 1990).
Cresta Marybelle Lee - Miss Cathy nella versione cinematografica
- è una tipica “pasionaria” senza inibizioni, interpretata
magistralmente dall’attrice Candice Bergen, clichè ideale della
ragazza americana “wasp” (White Anglo-Saxon- Presbiterian). Bella e
indisponente fino all’eccesso, appare materialista e determinata
quanto il suo occasionale partner è invece moralista e irresoluto.
Il suo linguaggio pesante, infarcito di colorite espressioni (“merda
secca”) rappresenta una sfida costante alla rigorosa etica del
compagno, che finirà per cedere al suo fascino prorompente. Ma Cathy
simboleggia soprattutto l’elemento femminile che sopravvive alle
difficoltà in un contesto prettamente maschilista come quello del
West: posseduta dapprima dal capo indiano Lupo Pezzato, poi
fidanzata all’insulso tenente Mc Nair che attende il suo ritorno a
Fort Reunion, getta via passato e convenzioni scegliendo il
sentimento di un anonimo soldato.
La figura del colonnello Iverson (John Anderson) autore del
massacro finale è una palese allusione a John M. Chivington (e non a
George A. Custer, come ha scritto qualche critico disinformato!) che
architettò e diresse la strage del Sand Creek nel novembre 1864. Si
ubriaca viaggiando su un carro prima della battaglia, rimane
indifferente allo spettacolo di donne e bambini trafitti, ma si
preoccupa per il proprio caschetto stile coloniale, che si è
sporcato cadendo nella polvere. Un personaggio squallido e a tratti
ripugnante che, allibito dinanzi alla sfrontatezza di Cathy, confida
ad un suo ufficiale: “Con questi giovani d’oggi, chissà dove andremo
a finire!” La frase sottintende le angosce di un vecchio alle prese
con una generazione disinibita, che mette in discussione i valori
tradizionali. Anche qui, il riferimento agli anni della
contestazione studentesca è palese.
Lupo Pezzato (Jorge Rivero) rimane un personaggio da
“background”, che rammenta i ruoli sfuggenti e marginali riservati
agli Indiani in molti western precedenti (primo fra tutti, “Ombre
Rosse” di John Ford, ma anche “L’ultima carovana” di Delmer Daves).
La sua presenza è marginale e quasi onirica, come il capo comanche
Scar del celebre “Sentieri Selvaggi” di Ford, ma assai meno
opprimente rispetto al rapitore di Debbie.
Per certi aspetti, il personaggio costituisce proprio il punto
debole del film.
Il condottiero sembra più immerso nel ricordo della storia
vissuta con Cathy che consapevole della tragica situazione in cui si
trova la sua gente minacciata dai soldati. Le esigenze di
lavorazione lo trasformano in un martire, creando un’evidente
contraddizione, perchè pochi giorni prima il leader cheyenne ha
annientato un convoglio militare. Il suo incedere fiero e maestoso
incontro alle truppe di Iverson, sventolando una bandiera a stelle e
striscie, è una discutibile riproposizione del presunto episodio
verificatosi al Sand Creek nel 1864, che ebbe forse come
protagonista il capo Pentola Nera.
Isaac Q. Cumber (Donald Pleasence) occupa alcune importanti
sequenze nell’impeccabile parte del mercante d’armi. Sospettoso e
crudele, non ha fatto i conti con la scaltrezza di una donna
cresciuta fra gli Indiani e ne paga le conseguenze. Al di là
dell’indiscussa bravura del noto attore inglese, si ha l’impressione
che la sua comparsa serva unicamente a favorire l’incontro
erotico-sentimentale fra i due protagonisti, in una memorabile
sequenza girata all’interno di una grotta.
La caratterizzazione del capitano Battles (Dana Elcar) e del
tenente Spingarn (Martin West) è molto più intensa nel romanzo che
nel film. Olsen descrive il primo come “un uomo sui quarant’anni,
con vivaci occhi a mandorla in un viso che somigliava ad una rosea
prugna, afflitto da nervi a fior di pelle e da una faticosa
digestione, come la maggior parte degli ufficiali pagatori
dell’esercito”. Il commento su Spingarn è che “malgrado tutta la sua
boria, la sua seta e le sue frange non era un esperto di guerre
indiana”, ma soltanto “un bellimbusto zoticone”, simile, perfino
nell’abbigliamento, al suo defunto idolo George Armstrong Custer. Il
contrasto latente fra gli ufficiali e il velato disprezzo di costoro
verso il rango inferiore dei sottufficiali, normalmente esclusi da
valutazioni di ordine tattico, sono fra gli elementi portanti
dell’opera letteraria, ma nel film si presentano molto più sfumati.
Il sergente O’Hearn (Mort Mills) costituisce l’emblema di questa
gerarchia di “dannati” che si riscattano prendendo in mano le redini
del plotone nel momento cruciale, mentre i pavidi ed inetti
superiori crollano miseramente davanti al nemico. Il paragone con
qualche film di John Ford (“Il massacro di Fort Apache”, “I dannati
e gli eroi”) viene, ancora una volta, spontaneo.
Anche il tenente Mc Nair (Bob Carraway) fidanzato ufficiale di
Cathy, è una figura di contorno: un perfetto bellimbusto, incapace
di comprendere il modo di pensare della sua ragazza e troppo legato
alle ambizioni di carriera per tentare di contrastare le
cervellotiche decisioni di un comandante assetato di vendetta.
LA TRAMA
Romanzo e film seguono un percorso abbastanza coincidente fino al
momento in cui Honus e Cathy stanno per ricongiungersi alle truppe
di Iverson. Il finale voluto da Nelson, come si è detto, è
diametralmente opposto alle conclusioni di Olsen.
Il film inizia con l’immagine dei militari che attendono in
sella, mentre il capitano sta finendo di compiere i propri bisogni
in una latrina di legno ai margini della fattoria, per salire poi
sul carro dove si trova Cathy Lee.
Honus Gant ed un altro soldato vengono distanziati sui lati per
fiancheggiare la colonna e proteggerla da eventuali brutte sorprese.
Ma nonostante le precauzioni, i Cheyenne di Lupo Pezzato attaccano
all’improvviso e i soldati sono costretti a ripiegare in una
boscaglia, a cui gli Indiani appiccano il fuoco. Battles se la
prende con l’imperizia di Spingarn, che si è cacciato in trappola da
solo e chiede disperatamente al sergente O’Hearn di tentare
un’assurda trattativa di resa. Poi, in preda al panico, corre
incontro al nemico sventolando uno straccio bianco, nell’illusione
che i Cheyenne accettino di farlo prigioniero. Cade crivellato di
colpi, come tutti i suoi uomini, ad eccezione di Honus Gant, che
insieme a Cathy cercherà di raggiungere l’avamposto più vicino.
Dopo varie peripezie, incluso un duello fra il soldato e un capo
dei Kiowa – episodio che nel libro non figura – i sopravvissuti
incappano nel trafficante Cumber, che intravede la possibilità di
riportare la squaw a Lupo Pezzato in cambio di una lauta ricompensa.
Honus riesce a mandare all’aria i suoi piani e gli distrugge il
carro, dopo averlo scoperto carico d’armi destinate agli Indiani.
Inseguiti dal mercante infuriato, che riesce a ferire Honus, i due
si rifugiano in una grotta e fanno perdere le loro tracce. Allorchè
riprendono il cammino, si imbattono nelle truppe del colonnello
Iverson, pronte a sferrare un attacco contro il campo di Lupo
Pezzato. Al culmine del massacro finale, Honus si ribella al
superiore e viene trascinato via in catene. Cathy Lee rimane al suo
fianco.
L'AMBIENTAZIONE
La vicenda si svolge, come scrive Olsen, nel 1877, circa tredici
anni dopo la strage di Sand Creek, in una remota regione delle
Pianure Centrali. Il tragitto seguito dalla scorta di Spingarn segue
il corso di un fiumiciattolo chiamato Janroe; gli Indiani sono
fuggiti dall’agenzia di Darlington, che si trova in Oklahoma.
Il libro si sofferma su particolari che nel film è impossibile
cogliere, quali: la tipologia dell’armamento militare, la foggia
delle divise, il modello delle selle, la marca dei carri da
trasporto…I dialoghi contenuti nell’opera di Olsen fanno di “Soldato
Blu” un classico della letteratura western: quelli previsti dal
copione di Nelson, sono più sboccati e provocatori, ma non mancano
di incisività. Se il linguaggio di Cathy Lee somiglia spesso alle
espressioni ricorrenti durante la contestazione sessantottesca in
Italia, vi sono anche vivaci scambi di battute che mantengono desto
l’interesse del pubblico per tutta la durata della proiezione.
Il film non sconfina mai nella routine ed il coinvolgimento dello
spettatore raggiunge l’apice nella sua fase conclusiva.
LA COLONNA SONORA
La colonna sonora ha la sua base nel motivo trainante - “Soldier
Blue”, cantato dalla voce graffiante di Melanie Kafka – che apre i
titoli di testa. Nonostante l’imperversare, in quel periodo, dello
“spaghetti-western”, caratterizzato dalle originali invenzioni di
Ennio Morricone, il commento musicale rimane fedelmente “americano”,
con un accompagnamento discreto e talvolta impercettibile per buona
parte del racconto e forti accentuazioni melodiche soltanto nelle
fasi più cruente del film. Rispetto ai western classici di Ford e
Walsh, mancano i motivi tradizionali e le ballate popolari, a parte
una canzone dell’epoca intonata da Iverson mentre è in marcia verso
il campo cheyenne.
RIFERIMENTI STORICI
Il massacro di Sand Creek, a cui il film si ispira, avvenne il 29
novembre 1864 nel Colorado. Fu eseguito, per ordine o con l’assenso
preventivo del governatore del Territorio, Samuel Evans, dal Terzo
Reggimento Volontari comandato dal colonnello John M. Chivington,
già protagonista della battaglia di Glorieta Pass contro i Sudisti.
Secondo le testimonianze più accreditate, fra cui quella del
mezzosangue George Bent che quel giorno si trovava con i Cheyenne,
le vittime indiane furono da 133 a 148. Il fatto che si sia parlato
di 300 o 500 morti fu dovuto ad un falso resoconto che lo stesso
Chivington, costretto in seguito a rassegnare le dimissioni, fornì
alla stampa. Che la bande cheyenne di Pentola Nera, Antilope Bianca
e Collina Sabbiosa presenti al Sand Creek fossero del tutto
innocenti delle razzie compiute nel Kansas rimane alquanto
opinabile. Ciononostante, il proditorio assalto dei miliziani – che
ebbero 9 morti e 38 feriti – fu giustamente ritenuto un barbaro
crimine dalle autorità federali. La popolazione di Denver, invece,
lo approvò, ossessionata com’era dal pericolo rosso. Uno degli
ufficiali che avevano testimoniato contro il folle ufficiale – il
capitano Silas Soule – venne trovato ucciso poco tempo dopo in
circostanze mai chiarite.
Chivington, lasciato il comando e ritiratosi per qualche tempo a
vita privata, tentò nel 1883 di affermarsi nella politica, ma i suoi
trascorsi – soprattutto la vicenda del Sand Creek - gli inimicarono
l’elettorato, determinandone la sconfitta. Morì nel 1894 a causa di
un tumore. Pentola Nera, uno dei capi cheyenne scampati alla strage,
venne ucciso il 27 novembre 1868 dalle truppe di Custer, durante
l’attacco al suo villaggio sul fiume Washita.
LA VIOLENZA
Ralph Nelson fu il primo ad ammettere che alcune scene di
“Soldato Blu” fossero improponibili anche al pubblico più maturo:
“Dopo aver terminato il montaggio” disse “organizzai proiezioni
private e diversi spettatori si sentirono male. Così decisi di
eliminare alcune scene troppo raccapriccianti.”
I resoconti autentici relativi alla strage del Sand Creek parlano
di donne sventrate, violentate e torturate sadicamente dai miliziani
ubriachi. Alcuni bambini furono infilzati su dei pali e qualche
maschio adulto venne evirato. Il film mostra una parte di queste
scene – soldati che violentano una squaw, o intenti ad asportare con
un coltello i seni ad un’altra donna indiana – sufficienti a rendere
l’idea della ferocia degli assalitori. Gli orrori della verità
storica superarono comunque qualsiasi scena della finzione
cinematografica di Nelson.
L'EROTISMO
Il palcoscenico del western non fu mai il luogo ideale per
proporre nudi femminili e scene erotiche. “Soldato Blu” si mostra
innovativo anche sotto questo aspetto, benchè le immagini “spinte”
siano soprattutto riferite allo stupro generale commesso durante il
massacro dei Cheyenne.
La sequenza più eccitante rimane quella che vede Cathy e Honus
prigionieri sul carro di Cumber. La squaw, che indossa solamente una
corta tunica di panno, si sdraia sulla pancia per permettere al
soldato di slegarla, morsicandole i legacci. Mentre esegue
l’operazione, il giovane le solleva intenzionalmente la veste con i
denti, scoprendo il posteriore dell’attrice. Per un genere a cui la
censura imponeva da decenni un rigido puritanesimo, lasciando
soltanto immaginare la natura dei rapporti fra un uomo e una donna,
il passo avanti appare decisamente notevole.
I DIFETTI
Benché “Soldato Blu” rimanga a tutt’oggi una pietra miliare del
western, non è immune da inesattezze e contraddizioni. La critica
cinematografica ha talvolta peggiorato le cose spingendosi a
commentare episodi storici senza conoscerne a fondo protagonisti e
dinamiche. Più di una volta è stato infatti pubblicato – sulle
rubriche culturali di quotidiani nazionali, o in raccolte e saggi
dedicati al cinema – che il film rievoca l’efferato eccidio del Sand
Creek, “commesso nel 1864 dal generale Custer…” (sic!) Il nostro
“eroe” doveva davvero possedere il dono dell’ubiquità, per riuscire
a fronteggiare simultaneamente i Sudisti di Robert Lee nella
Shenandoah Valley e i Cheyenne di Pentola Nera ad alcune migliaia di
chilometri di distanza!
Un’altra inesattezza è quella di attribuire all’esercito federale
il massacro compiuto da Chivington, perché, com’è noto, si trattò
invece di un corpo di miliziani arruolati per 100 giorni e posti
alle dirette dipendenze del governatore del Territorio.
Comunque, per rispetto della storia, il reggimento che compie
l’azione di rappresaglia nel film - l’Undicesimo Cavalleria del
Colorado - non poteva sicuramente appartenere all’esercito federale,
che di unità a cavallo non ne possedette mai più di 10 fino al
termine delle guerre indiane (1890).
Contraddittorio e sconcertante appare anche il comportamento del
capo Lupo Pezzato, che, dopo avere annientato un drappello militare,
va incontro agli uomini di Iverson reggendo una bandiera americana
in segno di pace, come se la recente distruzione della colonna
Spingarn non contasse nulla.
IL GIUDIZIO
“Soldato Blu” è uno dei migliori film che il filone western abbia
prodotto nei cento anni della sua esistenza, a condizione che lo si
legga come un romanzo, evitando arditi accostamenti con realtà
profondamente differenti dal contesto storico della Frontiera.
L’abilità del regista, indipendentemente dagli intenti proclamati –
anche “Nessuna pietà per Ulzana” di Robert Aldrich, 1972 insiste sul
parallelo con il conflitto vietnamita, per espressa ammissione dei
suoi autori – è fuori discussione, così come l’interpretazione di
Peter Strauss, Donald Pleasence e soprattutto della splendida
Candice Bergen.
Il racconto possiede robustezza e originalità, i personaggi, le
scene e i dialoghi contengono un sapore nuovo che nella produzione
degli Anni Sessanta, fatta eccezione per alcuni film di Sergio
Leone, si era andato perdendo sempre più disperdendo.
La pellicola ha avuto il pregio di imprimere una svolta ad un
modello ormai prossimo al declino. Il rilancio di Nelson e di altri
grandi registi dello stesso periodo (Elliott Silverstein, Arthur
Penn) assicurò al western un’autonomia di altri due decenni,
regalando al pubblico il capolavoro “Balla coi Lupi” e alcune opere
pregevoli quali “L’ultimo dei Mohicani” e “Geronimo”.
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