La sua vita "precedente"
e non vi è dubbio alcuno che
l’avventura vissuta dal Rudio al Little Bighorn possieda i connotati
dell’eccezionalità, è altrettanto vero che essa non fu altro che
l’ultimo episodio di una lunga serie di avvenimenti straordinari.
Carlo Rudio nacque a Belluno il 26
agosto del 1832 da una nobile famiglia un po’ in decadenza (lui stesso
si vantò spesso del suo titolo di conte). I moti milanesi del 1848 lo
trovano cadetto dell’esercito austriaco di Radetzky costretto a
lasciare Milano al termine delle famose 5 giornate. Le atrocità
commesse dalle truppe asburgiche in ritirata scossero a tal punto la
coscienza del giovane Rudio che, una volta rientrato in famiglia a
Belluno, manifestò chiaramente le proprie simpatie per i patrioti
insurrezionisti. Partì immediatamente per Venezia, città che cercava
eroicamente di resistere all’assedio delle truppe imperiali, e dove
erano confluiti molti patrioti alla guida di Pier Fortunato Calvi.
Il carattere focoso, una certa
insofferenza alla disciplina (almeno in giovane età) e, talvolta, una
buona dose di ingenuità lo portarono, da quel momento, a vivere una
serie infinita di peripezie, ben descritte dal suo biografo Cesare
Marino: “… dal quel momento, almeno fino al suo ritorno a Londra
nel febbraio 1860, la vita di Carlo Rudio sarà un susseguirsi
incessante di arresti, evasioni, fughe, battaglie, esìli e
cospirazioni, culminati poi nell’attentato del 14 gennaio 1858, nella
deportazione a Cajenna e nella rocambolesca fuga con cui avrebbe
riguadagnato definitivamente la libertà …” .
Arrestato a Chioggia, riuscì ad evadere per
poi recarsi a Roma per combattere insieme ad altri garibaldini.
Successivamente, ormai convinto
mazziniano, viaggiò per l’Europa partecipando a numerose operazioni
dei cospiratori.
Arrivò infine in Inghilterra dove
conobbe la ragazza che sarebbe poi diventata sua moglie e dove fu
ordito il piano per l’attentato a Napoleone III al quale il Rudio
partecipò. Fu infatti dalla sua mano che partì la seconda delle tre
bombe al fulminato di mercurio che il 14 gennaio del 1858 vennero
lanciate verso la carrozza reale davanti all’Opera di Parigi.
L’attentato causò numerose vittime, ma lasciò pressoché illesi
l’imperatore e la sua consorte. Quella notte stessa venne fermato
dalla gendarmeria francese, ma il suo alibi e le sue false credenziali
crollarono allorché un suo complice, incrociandolo nei corridoi della
sede della polizia, lo tradì ingenuamente. Venne quindi arrestato,
processato e condannato alla ghigliottina insieme ai suoi complici,
tra cui il capo Felice Orsini che, insieme a Giuseppe Pieri, sulla
ghigliottina ci finì davvero. Il Rudio fu, invece, graziato quando
ormai stava letteralmente per salire sul patibolo. La condanna a morte
fu quindi tramutata (pare addirittura per intercessione dei reali
d’Inghilterra) in lavori forzati a vita da scontarsi presso la colonia
penale della Cajenna nella Guyana Francese, tristemente nota come
“Isola del Diavolo”, quella del romanzo “Papillon” per intenderci.
Carlo Rudio fu quindi tradotto via
mare all’isola della Cajenna non prima di aver passato alcuni mesi
nelle fetide prigioni di Tolone. La vita dei forzati alla Cajenna era,
com’è facile immaginare, ai limiti della sopravvivenza e molti di oro
infatti venivano sopraffatti da stenti, da malattie tropicali e
malnutrimento. Molti, ma non il nostro Rudio che, dotato di una tempra
fisica fortissima, non solo sopravvisse, ma addirittura mise in atto
un piano di evasione che gli consentì, tanto per cambiare in
circostanze estremamente avventurose, di evadere via mare e di
riguadagnare definitivamente la libertà.
Tornato in Inghilterra, dove si
ricongiunse alla moglie, capì ben presto che l’unica via per sfuggire
alle polizie di mezza Europa era quella dell’emigrazione negli Stati
Uniti. Lo accompagnò una lettera di raccomandazione di Mazzini al
quale non dispiaceva affatto di liberarsi della presenza ingombrante e
imbarazzante di quel bellunese focoso e testardo che pareva possedere
una naturale tendenza a cacciarsi nei guai.
Una volta arrivato negli USA si
arruolò nell’esercito e combatté da valoroso durante la Guerra Civile
dopo la quale venne assegnato ad un reggimento che sarebbe diventato
famoso per il suo comandante e per la sua disfatta: il 7° Cavalleria
di George Armstrong Custer. Dopo Little Bighorn, del Rudio si tornò a
parlare nel 1879 quando egli rese una colorita deposizione durante le
udienze del procedimento a carico del Magg. Reno per la sua condotta
durante la battaglia.
Da quel momento in poi la vita di
Carlo Rudio percorse binari di relativa “normalità”. Servì l’esercito
con grande impegno e dedizione fino al congedo nel 1896. A movimentare
la tranquillità della pensione ci fu una polemica a distanza con
alcuni storici italiani che ebbero parole di critica e sarcasmo
sull’operato del Rudio soprattutto nel suo periodo risorgimentale in
particolare nella vicenda dell’attentato a Napoleone III. Il Conte
Carlo Camillo di Rudio chiuse serenamente la sua clamorosa esistenza
nel letto di casa, attorniato dalla moglie e dalle figlie, il primo
giorno di novembre del 1910 a Los Angeles dove si era ritirato dopo il
congedo.
Le sue spoglie riposano nel cimitero
del “Presidio” di San Francisco.
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