Una fuga da paura
arlo Camillo di Rudio, bellunese, all’epoca
dei fatti 44enne (quindi coetaneo di Toro Seduto) tenente del 7°
cavalleria, era assegnato temporaneamente alla compagnia “A”. Questo
particolare non fu affatto marginale in quanto mentre la “A” fu
assegnata al comando di Reno, la sua compagnia di appartenenza, la
“E”, agli ordini di Custer, fu invece annientata dagli indiani.
Conoscendo le vicende della vita del
Rudio, questa non fu altro che una delle tante manifestazioni di un
destino che aveva evidentemente stabilito che Carlo Rudio avrebbe
dovuto chiudere la sua tormentata esistenza ad una rispettabile età e
nel suo letto.
Tornando alla battaglia, com’è noto l’attacco
delle truppe di Reno, benchè inaspettato, fu ben presto contenuto,
contrastato e infine respinto al punto da costringere il suo
comandante ad ordinare una ritirata che si sarebbe dimostrata
disordinata e sanguinosa. Racconta il
Rudio che nel tentativo di recuperare un guidone, il suo cavallo venne
colpito ed egli si trovò accerchiato dagli indiani e tagliato fuori
dal suo reparto che stava disordinatamente cercando di riguadare il
fiume e salire sulle colline che sovrastavano la valle. Egli si
rifugiò quindi nella fitta boscaglia nel tentativo di sfuggire ai
rastrellamenti che gli indiani stavano effettuando. Così facendo si
imbattè in tre suoi commilitoni che analogamente cercavano
nascondiglio nel bosco. Questi erano l’interprete Fred Gerard, il
mezzosangue Billy Jackson e il soldato O’Neill.
Il piano era quello di rimanere
nascosti fino al sopraggiungere delle tenebre per tentare poi il
ricongiungimento con il resto delle truppe delle quali, tuttavia,
ignoravano l’attuale posizione. Dal suo primo nascondiglio, Rudio vide
alcune squaw che scalpavano un soldato e ne rimase ovviamente molto
impressionato ed impaurito fino a quando queste, finita
“l’operazione”, si allontanarono. Il pericolo successivo venne dal
fuoco. Gli indiani avevano infatti dato alle fiamme il legname secco
e il fuoco si era propagato velocemente al punto da costringere il
Rudio e i suoi compagni di sventura a lasciare il loro nascondiglio
lungo il greto del fiume e cercare scampo attraverso il fumo e le
fiamme. Il calmarsi del vento e un po’ di pioggia spensero l’incendio
quando la situazione cominciava ormai a farsi insostenibile.
Il tenente Rudio e i suoi compagni
rimasero così nascosti per altre 5-6 in preda ai pensieri più
disperati, alla paura più grande e aggrappati alla speranza di poter
lasciare nottetempo il campo di battaglia e salvarsi. Un ulteriore
elemento di incertezza e ansia era costituito dall’ignorare
l’andamento e l’esito della battaglia, come ebbe a ricordare alcuni
anni più tardi il soldato O’Neill: “… non sapevamo che fine
avessero Custer e Reno. Avevamo sentito un tremendo suono di fucileria
provenire dalle postazioni di Reno e di Custer, rispettivamete a monte
e a valle del fiume, e ci eravamo resi conto che le nostre perdite
dovevano essere state pesanti. …”
Finalmente venne la sera di quella domenica 25
giugno 1876. Gerard e Jackson montarono in groppa ai loro cavalli che
avevano nascosto nella boscaglia, mentre Rudio e O’Neil li seguirono a
piedi. Avanzarono nella quasi totale oscurità in direzione sud alla
ricerca di un punto dove poter riguadare il Little Bighorn mentre in
lontananza si sentivano le voci degli indiani. Il percorso era
disseminato di corpi di soldati uccisi e di carcasse dei loro cavalli.
Attraversarono, poco dopo, il corso d’acqua, ma ben presto si resero
conto di essere finiti su di un isolotto del fiume e fu nel tentativo
di ritrovare la strada giusta che si imbatterono in un gruppo di
indiani a cavallo. A quella vista Gerard e Jackson fuggirono
precipitosamente al galoppo mentre Rudio e O’Neill si rifugiarono
nuovamente in mezzo ai cespugli pronti a far fuoco in caso di attacco
da parte degli indiani che, invece, si allontanarono. I due
trascorsero il resto della notte acquattati nella boscaglia da dove
potevano vedere i fuochi del campo indiano e udire i canti dei
guerrieri che celebravano la grande vittoria sui soldati. Da questo e
da altri segnali Rudio ne ricavò la sensazione che la battaglia non
doveva essere andata come Custer sperava, ma da qui ad immaginare la
totale disfatta che in realtà era avvenuta ce ne correva.
Arrivarono le prime luci dell’alba del 26
giugno e, dal suo rifugio, Rudio vide nel chiarore ingannevole dei
primi raggi di sole un gruppo di uomini a cavallo che indossavano
uniformi dell’esercito. Credette di riconoscere in uno di essi, che
indossava una casacca di pelle di daino, il capitano Tom Custer
(fratello del comandante) e, alimentato dalla speranza di una prossima
salvezza, saltò fuori dal proprio nascondiglio gridando: “Ehi, Tom
Custer, Tom Custer !” A quelle grida, per tutta risposta, i cavalieri
si fermarono e, intonando le loro urla di guerra, iniziarono a sparare
decine di colpi all’indirizzo del Rudio. Erano infatti indiani che
vestivano gli abiti e montavano i cavalli presi ai soldati nella
battaglia del giorno precedente. Di nuovo in fuga nella boscaglia
Rudio e O’Neill, inseguiti dai proiettili, ebbero un incontro
ravvicinato con un altro gruppo di guerrieri ingaggiando con essi una
sparatoria nella quale furono colpiti 2 indiani, mentre gli altri si
diedero alla fuga. I due fuggitivi raggiunsero un buon nascondiglio
tra i tronchi trasportati dal fiume dal quale potevano agevolmente
vedere tutta la zona, comprese le colline dove gli indiani avevano
ricominciato l’assedio a quel che restava delle truppe di Reno e
Benteen.
E’ facile immaginare quale potesse essere lo
stato d’animo di Carlo Rudio e del suo compagno dopo questo ennesimo
pericolo scampato miracolosamente. Le speranze di farcela erano ormai
ridotte al lumicino visto che erano stati localizzati e rimaneva loro
soltanto la possibilità di vendere cara la pelle. Fu proprio in queste
circostanze che il Rudio si dimostrò un buon ufficiale, dotato di
coraggio e buon senso come lo stesso O’Neill ebbe a riconoscere:”…in
questi frangenti, al pari di tante altre occasioni, il tenente Rudio
si dimostrò uno degli uomini più coraggiosi e di sangue freddo che io
abbia mai conosciuto. Egli mi calmò ripetutamente con i suoi saggi
consigli e mi rassicurò …”.
Passarono le ore e dal loro nascondiglio i
due poterono vedere i guerrieri che portarono l’assedio alle truppe
trincerate sulle colline fino al tardo pomeriggio per poi abbandonare
il campo di battaglia e raggiungere le loro squaw che avevano, nel
frattempo, smontato le tende e abbandonato il villaggio. Quando calò
la sera il silenzio fu totale e i due soldati uscirono dal loro
nascondiglio. Cercarono un guado per attraversare il Little Bighorn e,
una volta raggiunta l’altra sponda, incominciarono a salire le alture
con grande circospezione, ben attenti a non incappare nuovamente negli
indiani. Percorsero un paio di miglia e quando ormai erano convinti
che le truppe del 7° si fossero ritirate verso lo Yellowstone, udirono
in lontananza il raglio di un mulo. Si mossero, quindi, con grande
cautela in quella direzione e solo quando furono sicuri che le voci
che provenivano dal bivacco erano quelle dei loro commilitoni, si
manifestarono.
Rudio e O’Neill furono accolti dai loro
compagni con grande entusiasmo che cercarono di rifocillare i due che
erano digiuni da 48 ore.
Tutti erano ignari della sorte toccata a
Custer e ai suoi uomini.
Solo il mattino seguente, all’arrivo degli
esploratori della colonna del Gen. Terry, giunse la notizia della
disfatta di Custer. Fu quindi organizzata una ricognizione sul campo
di battaglia cui partecipò lo stesso Rudio.
|