La lunga gavetta
a John Ford, Michael aveva
ottenuto solo parti da figurante, ma insieme a Raoul Walsh ebbe
l’opportunità di fare il salto di qualità, soffiando ad un certo
Gary Cooper di Helena (Montana) la parte di protagonista in “The Big
Trail” (Il Grande Sentiero) prodotto dalla Twentieth Century Fox nel
1930.
IL GRANDE SENTIERO
Al suo fianco
recitarono la bella Marguerite Churchill, El Brendel e Tyrone Power
Senior. Sembra che John Ford, al quale era stata proposta la regia
del film, avesse rifiutato perché poco entusiasta della
sceneggiatura. Probabilmente, anche perché scarsamente convinto
delle qualità del futuro John Wayne.
Walsh aveva già
diretto molti film, cominciando nel 1913 con “The Pseudo Prodigal”
(Il finto prodigo) da lui stesso interpetato insieme all’attrice
Miriam Cooper. Era stato regista di “The Life of General Villa”
(1915) basato sulla vita del celebre rivoluzionario messicano e “The
Thief of Baghdad” (Il ladro di Bagdad, 1924).
“Il grande
sentiero”, spettacolare e ricco d’azione sullo sfondo di immensi
scenari panoramici – venne girato in località diverse dell’Arizona,
dell’Utah, della California, del Montana e in vari altri posti delle
Montagne Rocciose e lungo il fiume Colorado, tanto da essere
definito uno dei film western “più itineranti” della storia – tradì
le attese di tutti. Non bastarono a salvarlo la buona
interpretazione di Michael, nella parte di Buck Coleman, guida di
una carovana di emigranti verso il West, né le suggestive
inquadrature di praterie, montagne e luoghi desertici.
In precedenza
Michael era stato una semplice comparsa o aveva avuto delle
particine in almeno sette pellicole, di cui quattro dirette da Ford.
“Il grande sentiero” avrebbe dovuto costituire, per la carriera del
giovane 23enne, la svolta tanto attesa. Non fu così, perché il film
andò incontro ad un clamoroso insuccesso.
Al mancato
exploit del film contribuì il fatto di averlo girato in due distinte
versioni, una nel classico 35 mm. e l’altra nel futuristico 70 mm.,
definito all’epoca “Grandeur Film” in quanto utilizzava uno schermo
gigante. Sfortunatamente, la maggior parte delle sale
cinematografiche non era attrezzata per questo secondo tipo di
proiezione, che aggiungeva un tocco di spettacolarità al lavoro. Un
altro motivo, tutt'altro che tecnico ma sicuramente più grave,
risiedeva nella devastante crisi economica che stava mettendo a dura
prova gli Stati Uniti.
La Grande
Depressione, cominciata nell’autunno del 1929 dopo il crollo della
Borsa di Wall Street, aveva gettato sul lastrico migliaia di
imprese, provocando licenziamenti a catena e una nuova corsa verso
l’estremo Ovest californiano. In pochi anni vi sarebbero stati 15
milioni di disoccupati e un numero imprecisato di suicidi causati
dalla miseria e dalla disperazione, mentre la gente si avventurava
lungo la “Route 66” e costellava il tragitto del nuovo esodo, con
decine di “hooverville”, le città-baraccopoli provvisorie così
chiamate dal nome del presidente in carica Herbert Clark Hoover.
Qualcosa era
tuttavia cambiato nel destino del giovane debuttante.
Da quel momento
aveva smesso di chiamarsi Marion Michael Morrison, perché Winfield
Sheehan, capo produzione della Fox, decise di cambiargli nome e
cognome: lo ribattezzò infatti John Wayne. Ma nell’ambiente del
cinema, moltissimi continuarono a soprannominarlo “The Duke”, il
Duca, un appellativo dall’origine curiosa: pare infatti che, da
giovane, Wayne circolasse con un cane chiamato “Little Duke” e che
qualcuno avesse chiamato il futuro attore “Big Duke” con riferimento
al suo inseparabile compagno.
LA LUNGA
GAVETTA
Prima che Wayne
potesse entrare a far parte della schiera degli eletti di Hollywood,
sarebbero passati altri nove anni.
Durante tutto
questo tempo, lavorò in una sessantina di cortometraggi, molti dei
quali ascrivibili al genere western. Fra questi si possono ricordare
“The Big Stampede” (1932) e “The Telegraph Trail”(1933) di Tenny
Wright, “Riders of Destiny” (1933) “Lucky Texan” (1934) e “Westward
Ho” (1935) di Robert N. Bradbury, “Sagebrush Trail” (1933) e “The
Man From Utah” (1934) di Armand Schaefer, “Desert Trail” (1935) di
Collin Lewis, “King Of The Pecos” (1936) di Joseph Kane.
Appartengono a questo periodo incolore anche “The Oregon Trail”
(1036) di Scott Pembroke, “Overland Stage Raiders”, “Santa Fè
Stampede” e “Red River Range” di George Sherman, tutti e tre
prodotti nel 1938.
Il vero balzo
verso la vetta, John Wayne lo fece l’anno dopo, allorchè John Ford
gli propose la parte di protagonista nel suo film “Stagecoach”, che
in Italia sarebbe diventato il celebre “Ombre Rosse”.
L’attore aveva
32 anni ed era pronto a recitare finalmente una parte importante, ma
quando lesse il copione – l’opera si basava sul racconto “La
diligenza per Lordsburg”, di Ernst Haycox - sembrò ripensarci,
suggerendo al regista di origine irlandese la scelta di Lloyd Nolan
al posto suo. Ford gli rispose quasi strillando: “E non potresti
farlo tu stesso, Duke?”.
Wayne annuì.
Questa conferma segnò l’inizio, dopo un’interminabile gavetta, della
sua sfolgorante carriera.
[continua]
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